Chi pensa che la matematica non c’entri nulla con il mondo reale si sbaglia di grosso. Con buona pace di chi proprio non sopporta numeri, operazioni e figure geometriche, tutto ciò che ci circonda ha a che fare con la matematica. Persino l’arte.
Non ci credete? Allora andiamo alla scoperta della sezione aurea, un rapporto numerico che, anche se non avete mai sentito prima, è intorno a noi.
Che cos’è la sezione aurea?
Sostanzialmente la sezione aurea è un rapporto tra due numeri. In particolare, è un rapporto tra due numeri che dà come risultato il numero irrazionale 1,618033… (per comodità di lettura il numero è volutamente troncato).
Questo numero, essendo veramente unico e particolare, prende il nome di Phi.
Un altro modo per definire la sezione aurea è prendere un numero a e un numero b, e dire che a+b sta ad a come a sta a b.
I famosissimi numeri della successione di Fibonacci (1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55, 89, 144, …), il cui ultimo numero viene calcolato sommando i due precedenti (chiediamo venia ai matematici puri per una così banale spiegazione) sono strettamente legati alla sezione aurea.
Infatti i rapporti tra due numeri qualsiasi, tra quelli affiancati, della successione danno come risultato la costante Phi della sezione aurea (1,62…).
In pratica si può anche dire che la sezione aurea è la relazione tra due numeri consecutivi della successione di Fibonacci.
Ma cosa rende così speciale la sezione aurea?
Il rapporto aureo è alla base di molte delle forme più armoniose della natura. Lo stesso nome, “aureo”, indica il senso di armonia e di perfezione generato dalle forme che si basano su questo numero nel nostro cervello.
La sezione aurea in natura
La sezione aurea in natura assume spesso la forma della spirale costruita su rettangoli che seguono il rapporto 1,618:1. La spirale aurea è infatti una spirale di tipo logaritmico che cresce seguendo un cosiddetto fattore di accrescimento pari a Phi.
Alcuni esempi della spirale aurea in natura possono essere alcune forme di conchiglie, la disposizione degli stami dei fiori, la forma delle galassie e dei cicloni e tantissime altre.
Ecco alcuni esempi:
La sezione aurea nell’architettura e nell’arte
La bellezza della natura è sempre stata di esempio per le opere realizzate dall’uomo. Per tale ragione l’uomo ha sempre utilizzato la sezione aurea per calcolare le proporzioni armoniose tra le varie parti degli edifici o delle statue rappresentanti le figure umane.
In particolare, nell’essere umano, il rapporto tra l’altezza totale e l’altezza dall’ombelico a terra è 1,618. Lo sapevano bene Vitruvio prima e Leonardo Da Vinci con il suo famoso “Uomo Vitruviano“.
In architettura, il Partenone di Atene, ad esempio, presenta una facciata perfettamente inscrivibile nelle proporzioni di un rettangolo aureo (ossia un rettangolo costruito in base alle “regole” della sezione aurea).
Usare la sezione aurea per il design
L’applicazione nel design della “ezione aurea può apparire molto più difficile di quello che è in realtà. Esistono alcuni trucchetti che possono migliorare i progetti senza dover passare molte ore ad effettuare calcoli. Vediamo quali sono.
La regola dei terzi
La regola dei terzi consiste nel suddividere la pagina, la foto o il layout su cui si sta lavorando in tre parti verticali e in tre parti orizzontali.
I 4 punti in cui queste linee si incontreranno saranno quelli su cui andrà focalizzata l’attenzione.
Il motico di tale operazione è dato dal fatto che così ragiona il cervello umano. Inconsciamente siamo abituati a suddividere quello che vediamo in aree di interesse in base a come sono strutturate e a concentrarci sui punti focali posizionati nell’area centrale di quello che vediamo.
Usare la griglia della spirale aurea
Un altro metodo per implementare la sezione aurea è utilizzare le forme e le griglie della stessa.
Ad esempio costruire delle grafiche basandosi sulla spirale aurea vista prima o sulla divisione dell’area di lavoro in base ai rettangoli e alle proporzioni del rapporto aureo.
La sezione aurea nel logo design
Una delle applicazioni più comuni e più utilizzate è all’interno del graphic design, e in particolare nella costruzione dei loghi. Creare un logo non è una cosa semplice, esistono delle regole, ed esistono pure delle possibili applicazioni di formule geometriche come appunto quella del rapporto aureo.
Di esempi di loghi costruiti seguendo i principi e le forme del rapporto aureo ce ne sono moltissimi. Prendiamo in esame un logo che tutti conoscono: il logo dell’Apple.
Il logo della Apple è composto interamente da cerchi i cui raggi danno i numeri della successione di Fibonacci.
La sezione aurea nella fotografia
Anche nella fotografia si possono applicare le stesse regole che si applicano alla grafica e al design. In particolare è molto utile la regola dei terzi. Ad esempio una regola non scritta per quando si fotografa frontalmente un viso è quella di far stare gli occhi all’altezza dei due punti di incrocio superiori.
Le forme, in particolar modo la spirale aurea, possono anche essere utilizzate per creare fotografie dalle proporzioni fortemente armoniche.
La sezione aurea nel web design
Le proporzioni della sezione aurea sono largamente utilizzate anche nella costruzione dei layout dei siti web.
Ad esempio si segue molto spesso il rapporto 1,618:1 tra la colonna dei contenuti e la sidebar (la barra laterale di un sito).
Qui un esempio di come può essere trovata una giusta proporzione all’interno di un sito web:
In qualsiasi momento, se avete una larghezza totale di un layout potete utilizzare la formula scritta nell’immagine qui sopra per ricavare le proporzioni auree.
Chi ha un sito internet molte volte sottovaluta la preziosa e importante ottimizzazione per i motori di ricerca: la SEO. L’attività di ottimizzazione per i motori di ricerca è necessaria prima di procedere alla fase di posizionamento vera e propria.
L’ottimizzazione SEO è un’attività fondamentale che si può ritenere, senza ombra di dubbio, preliminare. Questa ottimizzazione va sempre eseguita per assicurare la completa indicizzazione del sito e per agevolare la fase successiva di posizionamento SEO.
Cercheremo di analizzare quello che va fatto senza entrare troppo nei dettagli evitando di entrare in quei tecnicismi che potrebbero “spaventare” i più.
Le regole tecniche da seguire per una corretta indicizzazione
Una delle prime cose da fare è assicurarsi della validità del file robots.txt. Questo semplice file di testo deve permettere l’accesso ai crawler (software che analizza i contenuti di una rete in un modo metodico e automatizzato) a tutte le pagine che devono essere visibili escludendo solo lo strettamente necessario.
Può risultate utile consultare le statistiche di scansione presenti su Google Search Console. Così facendo sarà possibile intervenire sistematicamente nel caso in cui risultino valori anomali.
Lo snippet
Tecnicamente, lo snippet – ritaglio – è quella porzione di codice che identifica il contenuto delle pagine sulla Serp – pagina dei risultati. In pratica, è il risultato restituito da Google e dagli altri motori di ricerca quando si effettua una qualsiasi ricerca online. Si compone di tre parametri importanti che vanno controllati: meta title, la URL e la meta description. Nell’immagine sono indicate le varie posizioni degli elementi così come compaiono attualmente nella Serp di Google.
Quella appena descritta è la struttura di uno snippet classico, caratterizzato da tre stringhe di testo. Nel corso degli anni Google ha continuato ad evolversi fino a mostrare in Serp anche altri tipi di snippet, capaci di soddisfare meglio la query dell’utente. Il contenuto testuale è stato affiancato anche da elementi multimediali, quali immagini o video.
Esistono inoltre altre 2 tipologie di snippet: il rich snippet e il featured snippet. Per il momento porremo l’attenzione sullo snippet testuale e su come scriverlo in maniera efficace sia per il crawler che per gli utenti.
Perché ottimizzare lo snippet in ottica SEO
L’ottimizzazione SEO dello snippet è fondamentale per comunicare correttamente l’argomento delle pagine ai motori di ricerca. Non dimentichiamo che per riuscire a posizionarsi per una qualsiasi keyword, è necessario creare un contenuto di valore, ma anche renderlo immediatamente comprensibile al software dei motori di ricerca.
I meta tag
Quando scansiona il web uno spider classifica le pagine in base a specifiche “etichette”, che poi mostrerà in Serp sotto forma di snippet. Queste etichette sono proprio il meta title e la meta description (i cosiddetti meta tag).
In parole semplici, un meta tag è un tag che fornisce informazioni circa il contenuto di una pagina, ma che non è direttamente visibile al suo interno. Infatti ne il meta title ne la meta description possono essere visualizzati a occhio nudo, ma sono inseriti nel codice HTML di ciascuna pagina.
Oltre ai meta tag, l’altra etichetta che si prende in considerazione ai fini dell’indicizzazione è l’URL, cioè l’indirizzo della risorsa su internet.
Da quanto detto consegue che se lo snippet non è ottimizzato per la SEO il motore di ricerca non riuscirà a interpretare correttamente i tuoi contenuti, non saprà come classificarli e non li inserirà all’interno della relativa pagina dei risultati.
Naturalmente, non va mai dimenticato che gli utenti pagine web sono le persone e non il crawler. È molto importante riuscire a scrivere dei contenuti che siano sia ottimizzati per i motori ma, soprattutto, pensati in funzione dell’utente che vede il sito.
La SEO diventa un vero valore aggiunto solo quando riusciamo a soddisfare nel miglior modo possibile un bisogno specifico dell’utente, rispettando al contempo le regole di codifica per il software.
Ottimizziamo lo snippet
Meta title
Il meta title è il fattore on page più rilevante in ottica SEO. È un meta tag, visibile all’interno del codice sorgente oppure visualizzabile passando il mouse sul tab della scheda di navigazione, nella parte alta della pagina.
In pratica, è il primo elemento visualizzato dal motore di ricerca ed è l’etichetta principale con cui Google cataloga il tuo contenuto. Deve comunicare in maniera chiara e inequivocabile l’argomento della pagina. Il meta title e deve essere:
unico
conciso
pertinente
esplicativo
Attenzione: Il meta title deve essere unico per ogni pagina del tuo sito. Avere dei titoli duplicati manderà in confusione il motore di ricerca, che di conseguenza penalizzerà i relativi contenuti.
La regola basilare della SEO dice che ogni contenuto deve essere comunicato in maniera univoca al crawler, e pertanto dovrà avere un unico meta title e un unico URL.
Il meta title naturalmente deve essere pertinente con il contenuto della pagina e soprattutto contenere la keyword per cui vuoi posizionarti. Fare i furbetti inserendo un title “acchiappa click” solo per attirare gli utenti porterebbe ad una penalizzazione da parte dei motori di ricerca e degli utenti.
Come scrivere il meta title
Una delle regole SEO alla base della scrittura del title è la cosiddetta keyword prominence. Che significa? Che in ogni porzione di testo considerata, Google, per esempio, dà maggiore importanza alle prime parole, per intenderci a quelle situate più a sinistra.
Questo principio si applica anche alla URL, al tag alt per l’ottimizzazione SEO delle immagini, al tag H1 e ai singoli paragrafi.
Quindi, se ad esempio stai scrivendo la ricetta originale degli spaghetti al sugo, sarà meglio optare per un title del tipo “Spaghetti al sugo: la ricetta originale” piuttosto che su: “La vera ricetta originale degli spaghetti al sugo”.
Così facendo si darà più enfasi e maggiore rilevanza semantica alla keyword “spaghetti al sugo”, piuttosto che alle parole “ricetta originale”. Si indicherà, in modo molto chiaro, al motore di ricerca che la pagina parla di spaghetti al sugo.
Quella della keyword prominence non è una regola rigida. Sicuramente però inserendo la parola chiave all’inizio del meta title comunichi immediatamente al motore di ricerca l’argomento della pagina e ne faciliti la sua classificazione.
Ottimizzare l’URL
URL è l’acronimo di Uniform Resource Locator. È quella stringa di testo che contiene il nome del dominio e la pagina. Un URL deve essere:
unico
parlante
di lunghezza limitata
privo di stop-words
Così come il meta title, anche l’URL deve contenere la keyword ed essere unico per ogni pagina. Ogni risorsa deve essere identificata in maniera univoca, attraverso un solo titolo e un solo indirizzo web.
Per URL parlante si intende un indirizzo esplicativo, che faccia capire immediatamente al motore di ricerca e agli utenti il contenuto della pagina a cui si riferisce.
Nel nostro esempio culinario, un URL parlante dovrebbe essere formulato in questo modo:
È consigliabile evitare URL pieni di numeri e parametri, meglio lavorarci un po’ su e renderli autoesplicativi. Un ulteriore consiglio è quello di evitare URL lunghissimi, meglio attenersi su di un massimo di 5/6 parole. Cosa molto importante è suddividere le parole con un trattino evitando di usare congiunzioni (se possibile), preposizioni e articoli… cioè quelle che vegono definite stop-words.
Ottimizzazione della meta description
La meta description lo possiamo definire come un piccolo riassunto. È l’elemento fondamentale per indurre l’utente a cliccare sul tuo risultato. Anche la mata description deve rispettare delle caratteristiche, vediamo quali sono:
descrittiva
sintetica
esaustiva
persuasiva
Si evince che la descrizione del contenuto deve essere sia sintetica ma anche esaustiva. Bisogna fornire tutti gli elementi utili a comprendere appieno ciò di cui parlerai nella pagina inserendo anche la keyword.
La meta description non può essere più lunga di 156 caratteri. Attenzione però, con l’aggiornamento degli algoritmi dei motori di ricerca, questo valore protrebbe subire delle variazioni. Tempo fa Google cambiò la lunghezza per poi tornare indietro nuovamente.
Non solo testo ma anche immagini
L’ottimizzazione per i motori di ricerca non si ferma solo agli elementi testuali ma dobbiamo prendere in considerazione anche l’ottimizzazione delle immagini. Un paramentro molto importante, trascusato a volte, è la velocità di un sito. Infatti, le performance di un portale sono oggi un fattore di ranking molto importante.
Nell’ottimizzazione delle immagini occorre fare attenzione a tre parametri:
il testo alternativo, o alt text, da ottimizzare opportunamente per migliorare la visibilità all’interno dei motori di ricerca
il peso in kB dell’immagine
le dimensioni in pixel
Le ultime due voci sono importantissime per determinare la velocità di caricamento della pagina in cui le immagini sono presenti. Voci anche troppo trascurate. Infatti, è importante che l’immagine sia delle giuste dimensioni e pesi, in termini di kB, il meno possibile. Non parleremo in questo articolo dei vari formati e dei tecnicismi per ottimizzare le immagini in risoluzione e dimensione. Sarà argomento di un nostro prossimo articolo.
È possibile monitorare le performance di un sito attraverso il tool Page Speed Insights, che fornisce anche le indicazioni utili per migliorare i tempi di caricamento se necessario.
Non perdiamo di vista i contenuti
I contenuti testuali di un sito web sono molto importanti e, ovviamente, dovranno essere ottimizzati opportunamente. Occorre scrivere per l’utente e non per il motore di ricerca, privilegiando la leggibilità e non ricorrendo ad attività illecite quali il keyword stuffing (ovvero l’utilizzo sconsiderato di keyword nel testo nel tentativo di migliorare il posizionamento).
Per raggiungere una buona visibilità sul motore di ricerca, è molto importante scrivere contenuti che siano realmente utili per l’utente. I principali parametri di engagement (tempo di permanenza, bounce rate, numero di pagine visitate, e così via) sono oggi dei fattori di ranking molto importanti e tenuti in grande considerazione da parte del motore. I motori di ricerca premieranno i contenuti migliori dal punto di vista degli utenti.
SEO tecnica
Oggi risultano sempre più importanti altri parametri, tra cui la presenza di un valido certificato di sicurezza SSL (https), l’utilizzo di AMP – ovvero pagine leggere e di facile visualizzazione da dispositivi mobili – l’uso di schema.org o altri linguaggi di markup per facilitare la comprensione dei contenuti da parte del motore di ricerca e visualizzare informazioni aggiuntive negli snippet di ricerca (parliamo di rich snippet in questo caso).
Al tempo stesso è importante che il sito sia privo di errori, di facile navigazione, con una struttura semplice e lineare.
Grazie alla SEO on site è possibile ottimizzare il sito web e agevolare il posizionamento del sito sui motori di ricerca rispetto a chiavi a bassa competitività o di tipo long tail, per le quali non sempre sono necessarie attività di link building e pubblicazione di articoli sponsorizzati.
Infatti, per far sì che un sito sia visibile ai motori di ricerca e agli utenti non è sempre necessario far ricorso alla link building e, in nicchie molto specifiche e a bassa concorrenza, è possibile affidarsi esclusivamente, o quasi, all’ottimizzazione on site.
In questo caso le parole chiave di tipo long tail diventando fondamentali, per riuscire a ottenere visibilità a costo quasi zero.
Conclusioni
Questa è solo una veloce panoramica della mole di lavoro che è dietro l’ottimizzazione per i motori di ricerca di un portale web. Un lavoro costante, certosino che non si vede subito ma che fa la differenza sul posizionamento nella Serp.
Chiedici una consulenza gratuita per il tuo sito internet e per ottimizzarlo in ottica SEO.
Conoscere la differenza tra pagina e profilo Facebook permette di evitare errori di immagine per l’azienda o associazione che vogliamo pubblicizzare. Diverse volte capita di spiegare la differenza ai nostri clienti e, nonostante ciò, ancora oggi vediamo e riceviamo richieste di amicizia da profili che non appartengono a persone ma ad aziende.
Abbiamo deciso di scrivere questo articolo spiegando quali sono le differenze tra pagina e profilo Facebook. In primis va detto che utilizzare un profilo al posto di una pagina aziendale vìola i termini di servizio del social network Facebook con il rischio di vedersi chiuso l’account.
Ma prima di addentrarci negli aspetti e nei consigli per un buon utilizzo di Facebook partiamo come sempre dalle definizioni.
Per comodità del lettore utilizziamo e riportiamo le definizioni che ci fornisce il social network.
Cosa sono le pagine
“Le Pagine vengono usate da marche, aziende, organizzazioni e figure pubbliche per creare una presenza su Facebook, mentre i profili rappresentano le persone singole. Dopo aver ricevuto un ruolo nella Pagina come amministratore o editor, chiunque abbia un account può creare una Pagina o aiutare a gestirne una. Le persone a cui piace una Pagina e i loro amici possono ottenere gli aggiornamenti nella sezione Notizie.“
Cos’è un profilo personale
“Il tuo profilo racconta la tua storia. Puoi scegliere cosa condividere, come gli interessi, le foto e le informazioni personali come la città natale, e con chi condividerlo. Il tuo profilo include anche il diario, in cui puoi vedere i tuoi post e quelli in cui sei stato taggato. Le impostazioni su Diario e l’aggiunta di tag ti consentiranno di gestire i tag e controllare chi può aggiungere e vedere contenuti sul tuo diario.“
Le differenze tra pagina e profilo Facebook
La differenza tra pagina e profilo è soprattutto dal punto di vista pubblicitario: presupponendo che una persona comune non ha bisogno di farsi pubblicità in quanto tale, Facebook non mette a disposizione la sua piattaforma pubblicitaria per i profili, cosa che ovviamente fa con le Pagine.
Se si vuole fare pubblicità alla propria azienda, o associazione, i profili personali non sono l’ideale non avendo, per il motivo detto sopra, a disposizione tutti gli strumenti che sono indispensabili per un utilizzo aziendale o associativo.
Si può pensare allora che si può superare questo problema con il numero di “amicizie”. Questo è un errore comune che genera anche la creazione di profili duplicati che, dal punto di vista dell’immagine aziendale o associativa, pone in malo modo la propria immagine.
Infatti il numero massimo di amici per un profilo è pari a 5000 amici che può sembrare anche eccessivo ma in ambito aziendale, se si esegue una buona strategia marketing, è poco. Una pagina invece non ha limiti e le persone a cui piace una pagina sono potenzialmente infinite, così come i followers, cioè chi segue la pagina.
I rischi dell’uso errato
Come già detto, usare in modo improprio il profilo di Facebook espone al rischio di cancellazione dell’account. Infatti, l’utilizzo del profilo per finalità commerciali vìola i termini di servizio del social network. Un bel danno di immagine se non si è più presenti dalla sera alla mattina su Facebook, no?
Le pagine, invece, sono in grado di garantire uniformità e coerenza della comunicazione aziendale. Consentono di misurare gli effetti della strategia di marketing ed impiegare tutta una serie di applicazioni studiate per ampliarne la funzionalità.
Inoltre, le pagine sono il naturale veicolo pubblicitario su Facebook e sono indispensabili per fare pubblicità con Instagram.
In poche parole per aziende/associazioni l’utilizzo delle pagine è la scelta migliore.
La risorsa più preziosa della tua azienda è la sua immagine presso i clienti
Brian Tracy
Come convertire un profilo Facebook in pagina
Potrebbe capitare che una volta capita la differenza tra pagina e profilo sia stato creato precedenteemente un profilo. Facebook da la possibilità di trasformare il profilo in un pagina in modo semplice e indolore. Il social network, infatti, mette a disposizione tutta una serie di informazioni utili per eseguire la conversione.
Ecco i link dove è possibile trovare le informazioni che ci servono:
Dopo aver spiegato la differenza tra pagina e profilo sintetizziamo il tutto in 5 punti. I motivi per i quali è preferibile aprire una pagina Facebook sono:
Facebook vieta l’uso di profili personali a scopi commerciali. A livello “legale” non è corretto aprire un profilo personale con il nome di un’attività commerciale.
Una pagina Facebook, a differenza di un profilo, è indicizzabile. Quindi oltre al nostro portale web nelle ricerche di Google o di altri motori di ricerca potrebbe comparire in prima pagina anche la nostra pagina Facebook. È una opportunità in più per essere trovati online sui motori di ricerca.
C’è un limite di 5000 persone per i profili personali, mentre una pagina non ha nessun limite. Si possono raggiungere alti numeri di fan o followers senza problemi di blocco da parte di Facebook.
Un’altro motivo per cui sconsigliamo di aprire un profilo personale al posto di una pagina, è che per un profilo ovviamente dobbiamo richiedere le amicizie. Una operazione questa che, diciamola tutta, non è il massimo della professionalità. È poco professionale richiedere l’amicizia ad una persona che molto probabilmente nemmeno conosce l’azienda o associazione che stiamo cercando di far conoscere. Una pagina, a differenza di un profilo, riceve i “mi piace” in base agli interessi delle persone.
Come già detto una pagina offre tutta una serie di possibilità di pubblicità che una profilo non ha. È, infatti, possibile promuovere contenuti pubblicati, targhettizzarli su determinati utenti aumentando quindi le possibilità di trovare potenziali clienti.
Per concludere
Se nonostante questo articolo sulla differenza tra pagina e profilo Facebook e i nostri consigli si ha ugualmente l’idea di creare un profilo personale aziendale che venga almeno usato nel modo giusto. Utilizzarlo come un profilo personale e raccontare la propria vita aziendale o associativa potrebbe avere i suoi benefici.
In questo modo si può utilizzare il profilo personale creando quello che viene definito uno storytelling del lavoro in azienda, interessando il pubblico e svelando qualche curiosità della vita in azienda.
Se vuoi migliorare la tua immagine aziendale, il sito web della azienda o attività contattaci per una analisi gratuita e senza impegno. Ti consiglierò come migliorare la tua immagine.
Quando si naviga su internet o si lavora al PC numerosi processi lavorano in background per consentire le operazioni richiesta. Tutte le operazioni svolte, eventuali errori e molto altro vengono registrati. Chi ha a che fare con i sistemi informatici per lavoro – non stiamo parlando di semplici utenti – conosce bene l’importanza dei log. Ma cosa sono e perchè sono così importanti?
Definizione dei file di log
Un log è la registrazione sequenziale e cronologica delle operazioni effettuate da un sistema informatico (software, storage, server/client o qualsiasi altro dispositivo informatizzato).
Le procedure di logging sono quelle azioni in cui un sistema operativo o un’applicazione registra gli eventi e li memorizza per eventuali riutilizzi successivi. L’elenco di queste registrazioni sono chiamate file di log. Al loro interno troviamo messaggi relativi al sistema, compreso il kernel, ai servizi, alle applicazioni in funzione e anche a cosa ha fatto l’utente.
I record conservano tutte le informazioni sul normale funzionamento della macchina e, cosa molto importate, le registrazioni di errori e problemi. Ogni riga inizia sempre con le indicazioni cronologiche (data e ora del momento in cui viene effettuata la registrazione), il nome del computer su cui gira il programma che ha generato il log e, molte volte, anche il nome del programma stesso.
A seconda del sistema di logging, cambia la tipologia di informazioni. Un file di log, dunque, è sequenziale e sempre aperto alla scrittura. Una volta chiuso, viene conservato con una periodicità regolare, diventando così disponibile a supporto delle attività di monitoraggio (logging). Va detto che esistono differenti tipologie di file di log, dal controllo del sistema alla sicurezza e così via.
Ne risulta che i file di log possono rivelarsi molto utili a supporto della diagnostica, accelerando la risoluzione dei problemi legati all’uso dei sistemi.
I log per la sicurezza
La gestione dei log, come detto sopra, permette di monitorare una serie di attività tra cui gli accessi al sistema effettuati in un dato lasso temporale (evidenziando anche quelli avvenuti fuori dall’orario di lavoro, quelli non andati a buon fine e così via), le transazioni fallite, eventuali anomalie (sia software che hardware) e possibili minacce malware. I log, in sintesi, sono un asset importanti per far fronte efficacemente alle necessità di data protection e continuità di servizio.
Forse non si sa ma a livello internazionale esistono delle normative per la sicurezza informatica. Tutte le normative sulla sicurezza informatica prevedono la creazione di precise policy di logging. Risulta pertanto di facile intuizione comprendere il motivo per cui i log rappresentino un punto importante per far fronte efficacemente alle necessità di sicurezza e compliance aziendale.
Log Management
Con le nuove tecnologie, con l’aumento degli accessi alla rete internet e al costante scambio di informazioni, anche sensibili, è cresciuto il bisogno di garantire sicurezza, protezione dei dati e continuità di servizio. Il Log Management rappresenta un efficace strumento per far fronte a queste necessità in maniera semplice ed efficace.
Attraverso un buon sistema di Log Management, le aziende possono soddisfare le disposizioni normative, contare su uno strumento ottimale di monitoraggio e controllo, sfruttare i benefici della Business Intelligence e garantire alti standard di sicurezza.
Il 20% di ogni cambiamento sta nel conoscere come, il restante 80% sta nel conoscere perché.
Anthony Robbins
Log file e GDPR
Con l’entrata in vigore della GDPR (General Data Protection Regulation) il 25 maggio 2018 ci sono state importanti modifiche al modo di rapportarsi con i log file. Se prima erano una necessità per gli amministratori di sistema ora sono uno strumento necessario e a cui le aziende, che seguono una corretta politica informatica, non possono rinunciare.
Il regolamento europeo chiede che resti traccia delle operazioni effettuate sui dati affinché, in casi di controllo, sia possibile dimostrare che si sono compiute tutte le azioni di tutela.
Nello specifico, per il Garante della Privacy i file di log devono essere completi (includendo chi compie azioni ma anche solo chi accede ai dati in consultazione), inalterabili e verificabili (cioè abilitare il controllo del corretto utilizzo dei dati).
L’errore nel sottovalutare i file di log
Nonostante tutti i benefici che una corretta gestione dei log può portare questi sono ancora troppo spesso sottovalutati. Alcune aziende quando devono ricorrere a una soluzione di Log Management lo fanno quando ormai il danno è fatto.
Un controllo sui down di sistema, su eventuali attacchi alla rete, su problemi hardware/software, ma anche il dover fornire in modo rapido ed efficace precise informazioni ai dirigenti aziendali o perfino agli organi di pubblica sicurezza può essere effettuato in modo semplice e veloce. Soprattutto si possono prevedere, e porvi rimedio, eventuali problemi futuri.
I vantaggi del Log Management
Come si evince da quanto detto sopra le soluzioni di Log Management sono in grado di fornire snapshot – istantanee- sullo stato degli host e dei servizi, dando evidenza di eventuali comportamenti insoliti che potrebbero rivelarsi indizi di pericolo.
Avere a disposizione una copia remota dei log file permette di analizzare eventuali problemi relativi a un dato sistema, anche se quest’ultimo non dovesse risultare accessibile e di evitare la perdita dei dati (sia nel caso di un guasto hardware che software).
Un corretto utilizzo dei file di log può portare benefici anche dal punto di vista del marketing. I dati, come è noto, rappresentano un valore prezioso per il business e il Log Management può fornire importanti informazioni relative, per esempio, alle abitudini e alle tempistiche di accesso ai relativi portali web, alle pagine più visitate e al tipo di comunicazioni che entrano ed escono dall’azienda.
In conclusione
È importante per le aziente dotarsi di sistemi adeguati di registrazione dei log file sia per essere a norma con il GDPR sia per tenere sotto controllo tutti i sistemi aziendali e gli utenti in maniera efficace.
Un mondo questo da tenere fortemente in considerazione. Secondo uno studio dell’agenzia Market&Market il mercato dei servizi di log management dovrebbe aumentare da 707 milioni di dollari nel 2017 a 1.248,9 milioni di dollari entro il 2022, con un tasso di crescita annuo composto (CAGR) del 12,1%. L’anno base per lo studio è stato il 2016 e il mercato è calcolato dal 2017 al 2022.
Numeri che aiutano ancor di più a capire l’importanza.
In molti pensano che tutti i fotografi siano uguali e che la fotografia pubblicitaria sia qualcosa di semplice, disconoscendo così la sua importanza. Capita spesso, infatti, che chi non ha esperienza nel mondo aziendale e si cimenta nel cercare di promuovere un evento o un prodotto, che sia sui social, su di un volantino o addirittura su di un sito ecommerce, tende a pensare che basti semplicemente prendere una qualsiasi foto da internet.
Le immagini, il più delle volte, vengono prelevate direttamente dal web senza nemmeno tener conto degli eventuali copyright: molti non hanno nemmeno l’accortezza di cercare sulla rete immagini copyright free. Errore che pagano, a volte, con eventuali ban dai social network o anche con cause legali dai veri proprietari delle immagini.
Una eventuale immagine amatoriale potrebbe, in alcuni casi, anche andar bene ma è importante tener conto che se si vuole promuovere un’offerta o un articolo destinato alla vendita serve necessariamente una foto professionale. Va detto che anche l’acquisto della miglior reflex presente sul mercato, se non si è fotografi professionisti e pubblicitari, non da l’effetto desiderato.
È il professionista che fa la differenza, non solo lo strumento.
Che cos’è una foto pubblicitaria
Possiamo definire una foto pubblicitaria un connubio omogeneo tra pubblicità e fotografia, il cui fine è quello di veicolare un messaggio mediante l’immagine. Attenzione però, non bisogna confondere una grafica con una fotografia pubblicitaria: entrambe possono coesistere, quasi sempre è così, ma non sono comunque la stessa cosa.
Nell’immaginario collettivo è facile confonderle ma per un vero professionista le differenze sono abissali. Infatti, una grafica ben fatta non può essere paragonata ad una foto ben fatta, poiché varia dalla realizzazione stessa alla strumentazione utilizzata.
Chi scatta e produce immagini pubblicitarie non ha solo il compito di rappresentare un oggetto tramite la sua macchina. Il fotografo pubblicitario realizza una comunicazione pubblicitaria che, tramite l’immagine stessa, deve trasmettere un messaggio ben preciso.
Il compito del fotografo è dunque quello di mettere in risalto i punti di forza del prodotto, ed è giusto sottolineare che è proprio lui l’ideatore del messaggio pubblicitario.
Le declinazioni della fotografia pubblicitaria
Con l’accesso costante alla rete è facile pensare che la fotografia pubblicitaria sia solo sul web. Non è così! Esistono differenze anche tra i vari tipi di fotografie. Vediamo quali sono:
fotografia industriale
ritrae edifici, palazzi o strutture architettoniche… da non confondere con la urban photography. Entrambe hanno regole ben precise per un’ottima realizzazione dell’immagine;
food photography
è la fotografia dei prodotti alimentari che, però, non riguarda le foto del piatto preferito fatta con uno smartphone in un ristorante;
still-life
la fotografia pubblicitaria degli oggetti. La tecnica adottata nel genere still-life presenta alcuni aspetti di semplicità, ma è più difficoltosa di quanto possa sembrare a prima vista. Appunto perché il fotografo professionista deve riuscire a dare conformità, delicatezza e dinamismo al prodotto che si fotografa;
advertising
la realizzazione di un’immagine progettata in totale sinergia con il messaggio pubblicitario che l’azienda intende veicolare mediante la sponsorizzazione dell’oggetto.
Il compito, non semplice, del fotografo pubblicitario
La cura dei dettagli e delle inquadrature, la scelta delle pose, dei soggetti, dei luoghi più adeguati sono solo alcuni degli aspetti da ricercare. Elementi che sottolineano l’intento di rendere gli scatti esteticamente perfetti: tutto deve catturare l’attenzione con un solo sguardo – anche fugace – e catapultarla in una narrazione.
La fotografia, infatti, ha un enorme impatto comunicativo, per tale motivo il rapporto tra la fotografia e la pubblicità è inossidabile. Un legame questo che continuerà ad essere tale fin quando la fotografia sarà in grado di trasportare chi la guarda verso quella narrazione che il fotografo pubblicitario riesce a dare.
Per questo motivo una azienda che ha deciso di puntare su campagne comunicative o di marketing di un certo livello – siano esse on-line che off-line -, ha bisogno di foto professionali, se vuole comunicare con efficacia.
Noi possiamo fornirti il supporto necessario per realizzare la tua pubblicità, chiamaci per un preventivo gratuito o anche per una consulenza.
Prima di addentrarci nel vasto mondo dell’identità visiva e nel cercare di capire quanto è importante la brand identity è bene spiegare al meglio cos’è. Potrebbe sembrare superfluo fare una sua presentazione ma, essendo un campo vasto come già detto, la definizione può esserci di aiuto per capire al meglio i concetti sotto indicati.
Definizione di brand identity
Con il termine brand identity, o identità aziendale, si intende l’insieme degli aspetti e degli elementi grafico/comunicativi che determinano la percezione e la reputazione di un brand da parte dell’utente. In particolare, quella percezione profondamente emotiva ed istintiva da cui dipenderà il gradimento e di conseguenza il successo o meno di un marchio. Non dimentichiamo un concetto molto importante: la brand identity crea un rapporto, positivo o negativo, con il pubblico.
Il prisma della brand identity
Secondo Jean-Noel Kapferer, uno dei massimi esperti in materia di branding, esistono sei elementi principali. L’esperto ha realizzato il “prisma della brand identity” per riassumere i sei elementi principali che la costituiscono.
Gli elementi del prisma della brand identity
Come si può vedere dalla figura, il prisma presenta sei elementi principali. Andiamo a vedere ed a capire più in dettaglio quali sono e a cosa servono questi elementi:
fisici
hanno a che fare sia con gli attributi fisici e le qualità del prodotto (quindi con il core business dell’azienda), ma anche con gli attributi fisici del brand (quindi elementi come nome, logo, design, colori, packaging). Come spiega l’esperto in “The new strategic brand management”, si tratta di «una combinazione di caratteristiche oggettive e salienti che vengono immediatamente in mente quando un brand viene menzionato in un sondaggio»;
personalità
viene sviluppata grazie alla comunicazione creata dal brand. Il modo in cui presenta i propri prodotti, il tone of voice – tono di voce- usato «rivelano che tipo di persona sarebbe se fosse un essere umano», spiega Kapferer;
cultura
è un aspetto importante della brand identity e riguarda tutti i valori sui quali si fonda il modello di business;
relazione
è un concetto importante perché il rapporto tra l’azienda e i clienti è determinante per trasmettere ai consumatori i valori e l’identità che il brand vuole che siano percepiti dai diversi stakeholder;
immagine riflessa
sempre secondo Kapferer «il brand è il riflesso dei clienti» e quindi il target dell’azienda viene collegato alla marca e contribuisce alla costruzione identitaria. Esistono dei marchi la cui comunicazione punta chiaramente a un target molto giovane ed è anche questo a definirli e a distinguerli dai competitor;
auto-immagine
la brand identity si costruisce anche sulla percezione che il target ha di se stesso grazie all’uso del marchio.
Secondo l’autore del modello in questione, avere «un’idea chiara della propria identità è necessario affinché il significato del brand venga rinforzato tramite ripetizione».
Elementi determinanti della brand identity
I concetti sopra espressi portano pertanto alla ricerca di elementi determinanti concreti. Elementi che devono essere tenuti in considerazione:
Naming
Sviluppo e creazione del nome di azienda, marca o prodotto.
Logo Design
Ideazione e progettazione di un marchio, che eccelle in originalità e qualità del design grafico e tipografico. Possono essere incluse applicazioni semplici del logo quali business cards, carta intestata, ecc. In un nostro precedente articolo abbiamo parlato dell’importanza di avere un logo.
Type Design
Ideazione e progettazione di un carattere tipografico customizzato per un brand, completo di tutto l’alfabeto e utilizzato per comporre logotipi e/o testi della marca.
Corporate & Brand Identity
Sviluppo di un sistema di identità per un’impresa o una marca, completo in ogni suo step e item (strategia, identità nominale e/o visuale, immagine coordinata ecc.).
Product Identity
Sviluppo di un sistema di identità per una marca di prodotto o servizio, completo in ogni suo step e item (identità nominale e/o visuale, immagine coordinata, ecc).
Retail Identity
Sviluppo di un sistema di identità per una marca di insegna, (immagine coordinata, punto vendita, espositori e cartonati in 3D, materiali di allestimento in-store events, digital signage, ecc.).
System Identity
Sviluppo di un sistema di identità per una marca che non sia d’impresa, di prodotto o di insegna, completo in ogni suo step e item (strategia, identità nominale e/o visuale, immagine coordinata ecc.). Per esempio, sono da intendersi in questa categoria, identità di eventi (convegni), istituzioni e amministrazioni pubbliche (città), partiti politici, concorsi, ecc.
Identity Manual
Sviluppo di manuali normativi per l’applicazione di un marchio o di linee guida per un intero sistema d’identità.
Literature Design
Sviluppo di progetti grafici relativi alla documentazione d’impresa; come per esempio: monografie istituzionali, brochure, report annuali, newsletter, cataloghi, calendari, inviti, cartelle stampa, e molto altro.
Publishing Design
Sviluppo di progetti grafici esclusivamente per l’editoria pubblica o di settore, come: riviste, giornali, libri e/o copertine, collane, ecc.
Exhibition Design
Progetti di sistemi di segnaletica (wayfinding design) e allestimenti per aeroporti, stazioni, hotel, ristoranti e fast food, stand fieristici, mostre, esposizioni, live events.
Digital Design
Progetti grafici specifici per format multimediali, apps per dispositivi mobili, periodici online, installazioni digitali, ecc.
Leggendo quanto riportato precedentemente è evidente che il brand non è il logo, o meglio, non è formato solo dal logo; il brand – l’identità visiva – è l’insieme di una serie di elementi grafici ed emozionali che identificano il “carattere” dell’attività.
Da cosa cosa dobbiamo iniziare per avere una buona brand reputation?
Ovviamente tutto parte da una idea. Idea che va sviluppata in tutte le sue sfaccettature. Nulla deve essere lasciato al caso. È bene iniziare con:
compiere un’analisi sul mercato e sull’azienda stessa. Capire la sua forza, le opportunità e le minacce derivanti dai competitor e dall’evoluzione del segmento nel quale si opera;
identificare la propria clientela e chi bisogna cercare di raggiungere non solo con i prodotti o servizi, ma anche con le campagne di marketing e consolidamento della brand identity;
stabilire il messaggio e il modo in cui si vorrà veicolarlo: entrambi sono fondamentali per la percezione e il posizionamento del marchio. Cercare di capire come sarà percepito il brand dal cliente.
Ma, quindi, da cosa bisogna iniziare per non incorrere in errori?
La risposta alla domanda è farsi delle domande e darsi delle risposte (un po’ alla Gigi Marzullo). Scherzi a parte, porsi delle domande che possono sembrare banali serve per capire meglio quello che dobbiamo fare. Per rispondere bisogna anche cercare di immedesimarsi nel potenziale cliente.
Domande del tipo: “cosa venderò?”, “ho un prodotto di punta? E se si qual’è?“, “cosa offro di meglio rispetto ai miei competitor (concorrenti)?” e molte altre sono un buon punto di partenza per pensare a come realizzare la nostra identità visiva.
Una volta trovata la risposta a queste e a tante altre domande possiamo iniziare a pensare alla nostra visual identity.
Il primo passaggio che accompagna la nascita di un marchio consiste nella scelta del nome più adatto. Nome che deve essere il più efficace e accattivante possibile. Di norma, è consigliabile affidarsi a un nome breve e facilmente identificabile. Un nome che possa balzare subito all’occhio e farsi ricordare nella mente dei consumatori che rispecchi, inoltre, i valori dell’azienda: la serietà, l’eleganza, la solidità dei prodotti che vende, etc. Esempi sono Bmw, acronimo del più lungo (e complicato) Bayerische Motoren Werke, ma anche Fiat, Ikea, Geox, Zara: sigle brevi, distintive e pertanto semplici da ricordare.
C’è anche chi preferisce indicare l’ambito afferente nel nome della compagnia: ad esempio General Motors, il cui nome già spiega la sfera entro la quale la grande azienda americana opera.
Ciò che conta è trovare una soluzione facile da ricordare e subito riconoscibile: in questo modo, non verrete dimenticati.
Superata la non semplice fase del “naming” si giunge a quello che può essere considerato l’elemento principale: il logo.
Abbiamo già parlato della sua importante nel nostro articolo “L’importanza di avere un logo“, che consigliamo di leggere per avere una idea più chiara su come si realizza.
Ricordiamo che il logo è quell’elemento grafico che riassume, in modo sintetico, tutta l’identità di un’azienda e ciò che essa vuole trasmettere. Il logo quindi deve essere unico nel suo genere, un “mai visto prima” che nel lo stesso tempo deve risultare semplice ed assolutamente facile da ricordare.
Conclusioni
È importante prima di presentarsi al pubblico sviluppare una propria identità visiva. Questo perché per un’azienda, come anche per un libero professionista o un privato, è essenziale non uniformarsi e distinguersi e risultare competitivi sul mercato. Una buona brand reputation attira la giusta clientela ed assicura una crescita nel tempo.
Instaurare un rapporto di fiducia e in un certo senso di confidenza tra il pubblico e l’azienda significa anche fidelizzare i clienti.
Risulta evidente e necessario affidarsi alle giuste figure professionali che possono consigliare nelle scelte ed indirizzare l’attività verso le giuste considerazioni.
Contattaci per avere maggiori informazioni o anche solo una consulenza sulla tua brand identity.
Molto spesso, quando si parla di creare e gestire un sito web, si cita la figura del “webmaster”, termine usato fin troppo impropriamente. Il perchè di tale affermazione è semplice e ci vediamo costretti a sfatare un primo mito: un sito internet non viene sviluppato e realizzato da una singola persona.
La mitica figura del webmaster che appare nell’immaginario collettivo in realtà non esiste. Cerchiamo di capire il motivo.
Forse, fino a quando si realizzavano delle semplici pagine in HTML con qualche immagine qui e lì, con risoluzioni dei monitor molto standardizzate si poteva parlare di questa figura… ma oggi le cose sono molto cambiate.
Come tutti i settori legati alla tecnologia anche il web ha avuto un impennata nello sviluppo con una forte spinta verso il futuro. Prenderemo ad esame la creazione di uno shop on-line, ecommerce, per spiegare tutti i passaggi e le figure necessarie per la sua realizzazione.
Riuscire a creare un e-commerce di qualità oggi richiede il lavoro di un team ben affiatato. Diversi professionisti ognuno dei quali con una propria mansione e specializzazione.
Per comprendere il concetto è meglio iniziare a dividere la vita di un sito in cicli o fasi.
Il ciclo di vita di un sito web
In mondo molto sintetico creare e gesire un sito web prevede un prima fase di progettazione. Ogni portale internet va pirma pensato come si deve e poi sviluppato.
Una volta superate queste fasi il sito viene reso pubblico e quindi inizia a diventare produttivo. Si parla, quindi, di deploying, fase durante la quale ci si assicura che il sito e il suo shopping cart – carrello – realmente funzionino correttamente. Già in questa fase gli utenti iniziano a navigare il sito, i motori ad indicizzarlo, si continua ad inserire contenuti e a gestire i clienti. Le figure che intervengono in questa fase sono ovviamente diverse da quelle che sono intervenute nelle fasi precedenti.
Quando si è certi che il sito funziona correttamente e che tutti gli “ingranaggi” sono ben oliati si può anche procedere alla fase di marketing. In questa fase si comunica al mondo della presenza di questo nuovo shop on-line e si cerca di attrarre quante più persone possibile, mantenendo il target e cercando di raggiungere gli scopi per i quali il sito è stato realizzato.
Leggendo questa sintesi di come nasce un sito è evidente che le figure richieste sono diverse. Andiamo ora a specificare quali sono le figure che intervengono nelle varie fasi e quali sono i ruoli che ricoprono e le mansioni che svolgono.
Progettazione e sviluppo di un e-commerce
La fase più importante di tutte. Una cattiva progettazione porta quasi certamente a creare un cattivo sito e-commerce. È in questa fase, infatti, che si tracciano le linee guida di quello che sarà il frutto di tutto il lavoro che si andrà ad eseguire.
In questa importante fase intervengono diverse figure professionali:
Project Manager
Il suo compito è di organizzare, controllare ed indirizzare il lavoro degli altri componenti del team.
Marketer
Si occupa di delineare lo “stile” del sito e dell’azienda sul web. È lui che decide come deve apparire l’azienda all’esterno, l’immagine che deve trasmettere al cliente in relazione al target di riferimento. In base al tipo di target cerca di comprendere qual è il cliente tipo e si delinea lo stile della comunicazione (formale, informale, giocosa, sbarazzina, ecc.), quindi si cerca di capire come attrarre i visitatori e quali canali utilizzare.
Web Designer
E arriviamo a quella che forse è la figura più “mal” conosciuta: il webdesigner. In relazione a questa figura è necessario sfatare un mito duro a morire, causato dagli strascichi degli albori del web: il web designer non è un grafico!
Il webdesigner è colui il quale si occupa di design web e secondo la definizione che ne dà Wikipedia: “Il webdesign o web design, letteralmente progettazione per il world wide web, è un’espressione inglese utilizzata anche nella lingua italiana per indicare la progettazione tecnica, strutturale e grafica di un sito web.
La figura professionale dell’addetto alla progettazione per il web, il web designer, nata con lo svilupparsi del World Wide Web, presenta varie analogie teoriche con quella dell’architetto: così come per la costruzione di un palazzo, il webdesigner deve avere varie competenze che vanno dallo studio del singolo elemento alla complessità del progetto (il cosiddetto “zoom in e zoom out”), ed avere competenze di usabilità ed accessibilità.“
Il webdesigner, quindi, studierà la struttura dell’interfaccia (navigazione, schede prodotto, colori, ecc.) e andrà a realizzarla (magari con l’ausilio di un grafico) utilizzando linguaggi come l’HTML, CSS e JavaScript e nel farlo seguirà le indicazioni fornitegli dal marketer, dal cliente e dagli altri membri del team di sviluppo. Insieme contribuiranno a costruire un’ottima user experience per soddisfare al meglio i clienti e farli tornare. Tutto per evitare che il sito sia troppo complicato e gli utenti abbandonino gli acquisti a metà.
Web Developer o programmatore
Altra figura che interviene in questa fase è il developer, web developer, o programmatore. La sua funzione “volgarmente” – non me ne vogliamo i colleghi – è di scrivere il codice necessario per il portale da realizzare. Ogni portale ha le sue peculiarità tecniche o funzionali che lo rendono differente da molti altri.
A seconda della complessità del sito ci potranno essere uno o più sviluppatori. Va anche considerato che un progetto può richiedere anche più linguaggi di programmazione, è possibile, infatti, che un sito venga sviluppato in più linguaggi diversi, ognuno con finalità diverse.
Copywriter
Per la redazione dei testi c’è il copywriter, che non è semplicemente una persona che sa scrivere bene in italiano ma una persona che conosce la comunicazione sul web, ha rudimenti di SEO (Search Engine Optimization, Ottimizzazione – dei testi – per i motori di ricerca) e che nel redigere le pagine del sito segue le linee editoriali stabilite in fase di progettazione.
I computer sanno contare solo da 0 ad 1, il resto è professionalità.
Paola Pomi
Deploying, rodaggio e regime di un ecommerce
A questo punto il sito è pronto e va testato sul campo per verificarne il corretto funzionamento.
Durante il deploying si eliminano le eventuali imperfezioni, si apportano migliorie, si correggono gli ultimi eventuali errori. In genere si corregge tutto ciò che può essere rilevato solo con un test sul campo.
In questa fase (ma talvolta già in quelle precedenti) si inizia a riempire il catalogo dei prodotti da esporre e vendere.
Intervengono in questa fase altre figure come gli addetti al catalogo, chi si occupa del magazzino, il servizio clienti, ecc. Terminata questa fase il sito è a regime ed è produttivo.
Marketing per l’ecommerce
Forse questa è la fase che stimola di più la mente… una sfida costante contro il mercato. Abbiamo il nostro e-commerce, pronto per essere sfruttato, ma non abbiamo i clienti.
Bisogna trovare il modo di attirarli e non è detto che il modo usato per un portale vada bene per tutti.
Le tecniche sono tante e i modus operandi altrettanti. Possiamo pensare a fare pubblicità online con Google AdWords, su Facebook, attraverso altri siti di social networking, sui comparatori di prezzo, si può decidere di posizionare il sito con attività di SEO e molto altro. Le possibilità sono molte e limitate solamente dal budget disponibile.
Una buona parte dell’attività di marketing inoltre è dedicata all’ottimizzazione del sito e-commerce studiando accorgimenti che aiutino a vendere di più.
L’argomento è davvero molto vasto e cercare di parlarne in un poche righe non avrebbe senso. Cercheremo di rimprendere questo argomento in modo più dettagliato negli articoli futuri.
In conclusione
È bene, per completezza di idee, dire che non tutte le figure sopra citate servono per tutti i progetti. Creare e gesire un sito web necessita di coinvolgere tutte le professionalità citate ma comportano delle spese non indifferenti e non è detto che il budget a disposizione consenta di interperlarle.
Certamente, però, per creare e gestire un sito web non si potrà fare a meno di un webdesigner e di un developer, soprattutto nelle prime fasi, e di qualcuno che si occupi delle attività di SEO e di promozione. Quest’ultima figura in generale serve quando il sito è pronto per essere aperto al pubblico.
In un momento storico fatto di una concorrenza spietata, e a volte anche sleale, di professionisti della domenica fare rete tra seri professionisti diventa importante se non basilare. L’accesso facile ad alcune tecnologie, fa si che alcuni pseudo professionisti si credano grafici/programmatori/esperti seo/SMM e chi più ne ha più ne metta… creando più problemi che soluzioni.
Ma cosa vuol dire “fare rete”?
Se consideriamo la definizione classica fare rete descrive “un insieme di unità operative che agiscono in modo integrato e organico nell’ambito di un sistema, che si configura, di volta in volta, secondo le modalità più adatte per perseguire le opportunità di business che il mercato presenta“.
È chiaro che nascosto in questa definizione c’è un concetto molto importate: flessibilità del sistema. Infatti, avere delle partnership consente di conciliare condizioni organizzative opposte, coniugando i vantaggi strutturali delle PMI (Piccole Medie Imprese) con quelli delle organizzazioni di grandi dimensioni.
Inoltre, c’è la possibilità di ripartire i costi su più soggetti e la maggior capacità di innovare e di essere competitivi attraverso lo scambio reciproco di conoscenze (la condivisione è anche sinonimo di professionalità), consentono di migliorare l’offerta al mercato e garantire una maggior competitività alle imprese.
Se queste sono le premesse allora perchè è così difficile fare rete?
La risposta è la poca propensione ad investire e a confrontarsi con qualcosa di nuovo. Anche gli atteggiamenti opportunistici e egoistici non consentono di creare quella struttura che di certo tanto male non fa. Fare rete vuol dire anche mettere in discussione le proprie certezze… e, diciamoli, molti hanno paura di ciò.
Eppure l’idea di fare sistema, condividere, accrescere la propria presenza sul mercato non è una necessità solo attuale. Già in passato ci sono stati metodi per accrescere la propria presenza sul mercato, a volte snaturando anche la forma societaria di ogni singola azienda. Ora, per fortuna, ci sono forme più snelle che non intaccano l’entità giuridica delle singole imprese che vogliono fare aggregazione e condivisione.
Con la terza rivoluzione industriale e la globalizzazione è cambiata, purtroppo non per tutti, la mentalità aziendale. Questi eventi storici sono stati dei veri e propri start – punti di partenza – per rivedere nel profondo il modo di presentarsi nel mercato nazionale e anche internazionale.
Qualcuno, finalmente anche se pochi per ora, ha capito che è difficile far sentire la propria voce quando si è soli…
Mettersi insieme è un inizio, rimanere insieme è un progresso, lavorare insieme un successo.
Henry Ford
In questo cambiamento internet ha avuto e continua ad avere un ruolo importante. La “grande rete” è diventata uno strumento, se ben usato, essenziale che facilita l’attivazione di collaborazioni strategiche e lo sviluppo di filiere competitive. Processi ed individuazioni essenziali per poter affrontare le nuove sfide del mercato, senza perdere flessibilità, rapidità e creatività.
Facciamo rete? Si, ma seriamente
Da quanto scritto fare rete tra aziende/professionisti ha i suoi vantaggi, ma è importante prendere coscienza del fatto che la risposta al mettersi in gioco insieme non può essere considerata una scelta temporanea o di attesa. Fare rete vuol dire saper affrontare e risolvere i problemi che possono venire anche dall’altra parte. Bisogna saper fare squadra “nel bene e nel male”, cercando di superare le difficoltà.
Se poi la fase di crisi dovesse durare, non avendo snaturato la propria identità aziendale come detto prima, è sempre possibile tornare alla situazione precedente.
In conclusione
La figura dell’imprenditore solitario che con la sua impresa si presenta sul mercato, rischia di limitare le potenzialità della sua stessa azione e la buona riuscita del suo progetto. Nel mondo odierno, perché un progetto funzioni, serve una combinazione di più conoscenze, esperienze, tecnologie, stili di comunicazione… un saper e volersi confrontare con elementi esterni al nostro team ma sempre nella nostra squadra.
Avere delle partnership richiede proprio questo contributo da parte di ciascun elemento e non ci si deve fermare davanti alle criticità che questo a volte comporta. Il gruppo coinvolto può attraversare dei momenti di conflittualità, caratterizzati da tensioni, ostilità o resistenze al cambiamento, tuttavia anche questi momenti sono necessari per accrescere la coesione e la strutturazione del gruppo stesso in termini di appartenenza e “commitment” – impegno – per il raggiungimento degli obiettivi prefissati.
Fare rete non è facile, ma possibile se lo si vuole veramente. E tu cosa ne pensi?
Nel nostro precedente articolo – Conosci la normativa per aprire un e-commerce? – abbiamo analizzato da un punto strettamente legale/amministrativo i passi da compiere per l’apertura di un negozio on-line.
Ora, in questo articolo vedremo da vicino quali devono essere i contenuti informativi che devono essere presenti nell’e-commerce. Attenzione, non parleremo di cosa vendere e/o come vendere ma analizzeremo le informazioni che, per legge, dobbiamo fornire agli utenti… parleremo degli obblighi informativi. È un argomento molto importante che i “meno professionisti” facilmente ignorano con tutte le conseguenze del caso.
I vari tipi di e-commerce
Prima di procedere nel descrivere gli obblighi informativi dobbiamo fare una distinzione tra due tipologie di negozi on-line. Bisogna distinguere tra e-commerce B2B e B2C. Alcune informazioni sono comuni ad entrambi i tipi di e-commerce, altre sono previste solo per il B2C.
E-commerce B2C – Business to Customer
Con il termine Business to Consumer, abbreviato in B2C, si indicano le relazioni che un’impresa commerciale detiene con i suoi clienti per le attività di vendita e/o di assistenza. Questa sigla è utilizzata soprattutto quando l’interazione tra impresa e cliente avviene tramite internet, ovvero nel caso del commercio elettronico.
E-commerce B2B – Business to Business
Il termine Business to Business, indicato con B2B, in italiano commercio interaziendale, viene utilizzato per descrivere le transazioni commerciali elettroniche tra imprese.
Per comodità di lettura, quando parleremo dei vari tipi di shop on-line utilizzeremo gli acronimi sopra indicati.
Come devono essere fornite le informazioni per il consumatore/azienda?
Come sempre, o meglio come dovrebbe essere, le informazioni devono essere fornite in modo chiaro, semplice e comprensibile… soprattutto gli obblighi informativi. Da non sottovalutare la questione degli aggiornamenti delle informazioni. Per non avere problemi è sempre meglio tenere gli obblighi informativi i più aggiornati possibile.
B2B e B2C: quali gli obblighi informativi da fornire
Sul portale devono essere accessibili in modo semplice e veloce le seguenti informazioni:
il nome, la denominazione o la ragione sociale;
il domicilio o la sede legale;
i contatti (i contatti non devono obbligatoriamente corrispondere a un numero di telefono. Si può infatti predisporre un form di richiesta di informazioni cui rispondere via mail);
il numero di iscrizione al repertorio delle attività economiche, REA, o al registro delle imprese;
se l’attività sia soggetta a concessione, licenza od autorizzazione: gli elementi che le individuano, nonché gli estremi della competente autorità di vigilanza;
la partita IVA o altro codice identificativo;
i prezzi e le tariffe dei diversi servizi forniti, indicati in modo chiaro ed inequivocabile ed evidenziando se comprendono le imposte, i costi di consegna ed altri elementi aggiuntivi da specificare
l’indicazione delle attività consentite all’utente e gli estremi del contratto qualora un’attività sia soggetta ad autorizzazione o l’oggetto della prestazione sia fornito sulla base di un contratto di licenza d’uso
Se l’e-commerce è esercitato da una società di capitali
le informazioni da fornire sono:
la sede della società;
l’ufficio imprese presso il quale è iscritta la società ed il numero di iscrizione;
il capitale sociale quale effettivamente versato e quale risultante dall’ultimo bilancio;
che la società è in liquidazione qualora lo sia
il fatto che la società ha un unico socio
Le informazioni da fornire prima che l’utente inoltri l’ordine
Lo shop on-line deve fornire questi elementi in modo chiaro e, ovviamente, comprensibile:
le varie fasi tecniche da seguire per la conclusione del contratto;
il modo in cui il contratto concluso sarà archiviato e le relative modalità di accesso;
i mezzi tecnici messi a disposizione del destinatario per individuare e correggere gli errori di inserimento dei dati prima di inoltrare l’ordine al prestatore;
gli eventuali codici di condotta cui aderisce e come accedervi per via telematica;
le lingue a disposizione per concludere il contratto oltre all’italiano;
l’indicazione degli strumenti di composizione delle controversie.
Le informazioni da fornire dopo che il cliente ha inviato l’ordine
Il venditore deve inviare la conferma di aver ricevuto l’ordine. Questa conferma deve contenere un riepilogo delle condizioni generali applicabili al contratto, le informazioni relative alle caratteristiche essenziali del bene o del servizio e l’indicazione dettagliata del prezzo, dei mezzi di pagamento, del recesso, dei costi di consegna e delle tasse applicabili.
Ulteriori obblighi per il B2C
In caso di e-commerce B2C, ci sono ulteriori obblighi da osservare, oltre a quelli indicati sopra:
Direttamente prima che il cliente inoltri l’ordine
Il venditore deve comunicare all’utente queste informazioni:
le caratteristiche principali del bene o del servizio;
il prezzo compreso di imposte e le spese di spedizione;
la durata del contratto o, se a rinnovo automatico, le condizioni per recedere dal contratto;
la durata minima degli obblighi del consumatore a norma del contratto, se applicabile.
Il pulsante per inviare l’ordine
Il pulsante su cui cliccare per inviare l’ordine deve riportare in modo facilmente leggibile e in modo inequivocabile che l’inoltro dell’ordine implica l’obbligo di pagare il venditore. In caso contrario, il consumatore non è vincolato dal contratto o dall’ordine.
Il link alla piattaforma ODR
Sul sito deve essere presente il link alla piattaforma ODR creata dall’Unione Europea. Anche in questo caso il link deve essere facilmente raggiungibile ed accessibile.
ODR sta per Online Dispute Resolution (ossia, risoluzione online delle controversie). La piattaforma è un sito gestito dall’Unione Europea. Attraverso questo sito il consumatore che ha acquistato online un bene od un servizio e che per qualche è insoddisfatto dell’acquisto può presentare un reclamo. In seguito al reclamo si avvia una procedura che ha lo scopo di trovare una soluzione amichevole alla controversia tra consumatore e venditore. Per il venditore non è obbligatorio aderire a questa procedura.
Quando si perfeziona il contratto di vendita tra e-commerce cliente
È importante stabilire il momento in cui nasce il contratto tra il venditore ed il cliente. È un momento importante perché da qui sorgono a carico del venditore alcuni obblighi. Come stabilire nelle condizioni generali di vendita il momento in cui nasce il contratto?
Cerchiamo di spiegarlo tramite alcuni esempi:
Esempio 1 Il contratto è perfezionato nel momento in cui ricevi la richiesta dell’ordine inviata dal cliente. Possibili rischi:
il prodotto non è disponibile in magazzino e non si riesce ad evadere l’ordine. Il venditore è comunque vincolato nei confronti del cliente;
nello shop on-line è riportato un prezzo errato – ad esempio, inferiore a quello reale – di un prodotto. Il venditore è vincolato al prezzo che appare sul sito;
non si stabilisce che il prodotto può essere comprato solo inviando l’ordine tramite il sito. Il venditore corre il rischio di essere vincolato ad ordini fatti da clienti anche soltanto via mail.
Esempio 2 Il contratto è perfezionato nel momento in cui si invia al cliente la mail di conferma dell’ordine. In questo modo, se si riceve un ordine relativo ad un prodotto non disponibile, si può avvisare il cliente chiedendogli se conferma comunque l’ordine o se preferisce revocarlo.
Il contratto di vendita: le clausole vessatorie
Le clausole cosiddette vessatorie, sono clausole contrattuali che risultano gravose per il cliente e lo mettono in una situazione di particolare svantaggio rispetto al venditore. La legge elenca le clausole che possono essere vessatorie e fa una distinzione tra B2B e B2C.
Devi fare attenzione a queste clausole perché:
la legge dice che queste clausole sono valide solo in presenza di determinate condizioni: se non ci sono queste condizioni le clausole non hanno alcun effetto verso il cliente;
in caso di e-commerce B2C le associazioni dei iconsumatori e le camere di commercio possono chiedere al giudice di inibire l’uso di queste clausole ed il giudice può anche ordinare la pubblicazione del suo provvedimento sui giornali
in caso di e-commerce B2C anche l’Antitrust può dichiarare vessatorie le clausole e ordinare al venditore di pubblicare il suo provvedimento sul sito internet.
Le clausole vessatorie nel B2C
Sono quelle clausole che determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi che derivano dal contratto. Sono elencate nell’art. 33 del codice del consumo. Questo elenco non è esaustivo: il consumatore può agire per fare accertare la vessatorie anche di clausole non contenute in questo elenco, purché comportino uno squilibrio significativo tra le parti del contratto.
Sono le clausole che hanno per oggetto, o per effetto, di:
Escludere o limitare
la responsabilità del venditore in caso di morte o danno alla persona del consumatore, risultante da un fatto o da un’omissione del venditore;
le azioni o i diritti del consumatore nei confronti del venditore o di un’altra parte in caso di inadempimento totale o parziale o di adempimento inesatto da parte del venditore;
l’opportunità da parte del consumatore della compensazione di un debito nei confronti del venditore con un credito vantato nei confronti di quest’ultimo;
l’opponibilità dell’eccezione d’inadempimento da parte del consumatore.
Prevedere
un impegno definitivo del consumatore mentre l’esecuzione della prestazione del venditore è subordinata ad una condizione il cui adempimento dipende unicamente dalla sua volontà;
l’estensione dell’adesione del consumatore a clausole che non ha avuto la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto;
l’alienazione di un diritto o l’assunzione di un obbligo come subordinati ad una condizione sospensiva dipendente dalla mera volontà del venditore a fronte di un’obbligazione immediatamente efficace del consumatore. È fatto salvo l’art. 1355 del codice civile.
Consentire al venditore di
trattenere una somma di denaro versata dal consumatore se quest’ultimo non conclude il contratto o recede da esso, senza prevedere il diritto del consumatore di esigere dal venditore il doppio della somma corrisposta se è quest’ultimo a non concludere il contratto oppure a recedere;
recedere da contratti a tempo indeterminato senza un ragionevole preavviso, tranne nel caso di giusta causa;
modificare unilateralmente le clausole del contratto, ovvero le caratteristiche del prodotto o del servizio da fornire, senza un giustificato motivo indicato nel contratto stesso;
aumentare il prezzo del bene o del servizio senza che il consumatore possa recedere se il prezzo finale è eccessivamente elevato rispetto a quello originariamente convenuto;
sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti dal contratto, anche nel caso di preventivo consenso del consumatore, qualora risulti diminuita la tutela dei diritti di quest’ultimo.
Stabilire
un termine eccessivamente anticipato rispetto alla scadenza del contratto per comunicare la disdetta al fine di evitare la tacita proroga o rinnovazione;
che il prezzo dei beni o dei servizi sia determinato al momento della consegna o della prestazione;
come sede del foro competente sulle controversie località diversa da quella di residenza o domicilio elettivo del consumatore.
Imporre al consumatore in caso di inadempimento o di ritardo nell’adempimento, il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento, clausola penale o altro titolo equivalente d’importo manifestamente eccessivo.
Sancire a carico del consumatore decadenze, limitazioni della facoltà di opporre eccezioni, deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria, limitazioni all’adduzione di prove, inversioni o modificazioni dell’onere della prova, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti con i terzi.
Limitare la responsabilità del venditore rispetto alle obbligazioni derivanti dai contratti stipulati in suo nome dai mandatari o subordinare l’adempimento di tali obbligazioni al rispetto di particolari formalità.
Riconoscere al solo venditore e non anche al consumatore la facoltà di recedere dal contratto, nonché consentire al venditore di trattenere anche solo in parte la somma versata dal consumatore a titolo di corrispettivo per prestazioni non ancora adempiute, quando sia il venditore a recedere dal contratto.
Riservare al solo venditore il potere di accertare la conformità del bene venduto o del servizio prestato a quello previsto nel contratto o conferirgli il diritto esclusivo d’interpretare una clausola qualsiasi del contratto.
Le clausole vessatorie nel B2B
Queste sono le clausole che stabiliscono a favore del venditore:
limitazioni di responsabilità;
facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l’esecuzione.
Mentre a carico del cliente definiscono:
decadenze;
limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coiterzi;
tacita proroga o rinnovazione del contratto;
clausole compromissorie o deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria.
Quando sono valide le clausole vessatorie inserite nelle condizioni di generali di vendita?
Le clausole vessatorie, per poter avere effetto nei confronti del cliente, devono essere “specificatamente approvate per iscritto”. Ciò per richiamare l’attenzione del cliente sul significato di una determinata e specifica clausola a lui sfavorevole. Nei contratti cartacei il cliente sottoscrive le clausole vessatorie in maniera specifica e separata dal resto del contratto.
E per un portale web? Escludendo, per motivi di praticità, la firma digitale, al momento non esiste una soluzione sicura al 100% dal punto di vista legale. L’unica possibilità per cautelarsi è quella di fare approvare separatamente le clausole vessatorie con un secondo click (ossia, prevedere una seconda checkbox da spuntare) rispetto a quello con cui si approvano le condizioni generali di vendita.
Questa soluzione però non è ancora del tutto condivisa dai giudici italiani.
Il diritto di recesso
È il diritto del cliente di sciogliere il contratto senza la necessità di avere il consenso del venditore.
Il cliente può recedere:
entro 14 giorni a partire dal giorno in cui entra in possesso del bene;
entro 14 giorni + 1 anno se il venditore non informa il cliente sul suo diritto di recesso. Se però entro i 12 mesi il venditore informa il cliente sul diritto di recesso, allora il cliente può recedere entro 14 giorni dal giorno successivo a quello in cui ha ricevuto le informazioni.
Come funziona il diritto di recesso?
1. Il cliente comunica al venditore la sua decisione di recedere dal contratto. Può comunicarlo ad esempio con una mail, tramite un form presente sul sito o usando il modello prestampato allegato al codice consumo. Il cliente non deve fornire alcuna motivazione al venditore e non deve sostenere costi diversi da quelli di spedizione del reso. Il prodotto può essere stato usato dal cliente.
2. Il venditore deve rimborsare la somma. Il rimborso deve essere fatto senza ritardo e comunque entro 14 giorni dal giorno in cui il venditore è stato informato della decisione del cliente di recedere, mediante lo stesso mezzo di pagamento usato dal cliente, senza addebitare al cliente alcuna spesa per il rimborso. Il venditore può trattenere il rimborso fino a che non abbia ricevuto indietro i beni o il cliente non abbia dimostrato di aver spedito la merce e sempre salvo che il venditore si offra di ritirare esso stesso i beni.
Il rimborso comprende anche le spese di consegna sostenute dal cliente al momento dell’acquisto. Il venditore non deve rimborsare eventuali costi supplementari: ad esempio se il cliente ha scelto un metodo di consegna diverso da quello meno costoso offerto dal venditore.
3. Il cliente deve restituire i beni entro 14 giorni da quello in cui ha comunicato al venditore di voler recedere. Le spese per la restituzione del prodotto sono a carico del cliente a meno che il venditore non abbia deciso di sostenerle o non abbia informato il cliente che le spese sono a carico del cliente.
Quando è escluso il diritto di recesso
Il diritto di recesso è escluso rispetto a:
la fornitura di beni:
confezionati su misura o chiaramente personalizzati;
che rischiano di deteriorarsi o scadere rapidamente;
sigillati che non si prestano ad essere restituiti per motivi igienici o connessi alla protezione della salute e sono stati aperti dopo la consegna;
che, dopo la consegna, risultano, per loro natura, inscindibilmente mescolati con altri beni.
la fornitura di:
bevande alcoliche, il cui prezzo sia stato concordato al momento della conclusione del contratto di vendita, la cui consegna possa avvenire solo dopo trenta giorni e il cui valore effettivo dipenda da fluttuazioni sul mercato che non possono essere controllate dal venditore;
registrazioni audio o video sigillate o di software informatici sigillati che sono stati aperti dopo la consegna;
giornali, periodici e riviste ad eccezione dei contratti di abbonamento per la fornitura di tali pubblicazioni;
contenuto digitale mediante un supporto non materiale se l’esecuzione è iniziata con l’accordo espresso del cliente e con la sua accettazione del fatto che in tal caso avrebbe perso il diritto di recesso;
alloggi per fini non residenziali;
beni o servizi il cui prezzo è legato a fluttuazioni nel mercato finanziario che il venditore non è in grado di controllare e che possono verificarsi durante il periodo di recesso.
il trasporto di beni
i servizi di:
noleggio di autovetture;
catering o i servizi riguardanti le attività del tempo libero qualora il contratto preveda una data o un periodo di esecuzione specifici
i contratti:
in cui il cliente ha specificamente richiesto una visita da parte del venditore per effettuare lavori urgenti di riparazione o manutenzione. Se, in occasione di tale visita, il venditore fornisce servizi oltre a quelli specificamente richiesti dal cliente o beni diversi dai pezzi di ricambio necessari per effettuare la manutenzione o le riparazioni, il diritto di recesso si applica a tali servizi o beni supplementari;
conclusi in occasione di un’asta pubblica;
di servizi dopo la completa prestazione del servizio se l’esecuzione è iniziata con l’accordo espresso del cliente e con l’accettazione della perdita del diritto di recesso a seguito della piena esecuzione del contratto da parte del venditore.
La garanzia di conformità
La garanzia è uno strumento previsto dalla legge a tutela del cliente in caso di acquisto di un prodotto che sia difettoso, malfunzionante o che non sia conforme all’uso dichiarato dal venditore o all’uso per il quale quel bene è generalmente destinato.
Il ruolo del venditore
Il venditore ha l’obbligo di consegnare beni che siano conformi al contratto di vendita. Il cliente può far valere i propri diritti contattando direttamente il venditore del bene, anche se quest’ultimo sia un soggetto diverso dal produttore.
Quando scade la garanzia
La garanzia legale di conformità opera se il difetto del prodotto si manifesta entro 2 anni dalla consegna del bene e se il cliente, entro 2 mesi dalla scoperta del difetto, lo denuncia al venditore.
I diritti del cliente
Il cliente ha diritto ad ottenere senza spese:
la riparazione o sostituzione del prodotto oppure
la riduzione del prezzo oppure
la risoluzione del contratto.
La consegna del prodotto
La consegna deve avvenire entro 30 giorni dalla data in cui il contratto è concluso, a meno che nel contratto sia indicato un termine diverso.
Cosa accade se non viene rispettato il termine di consegna?
In caso di mancata consegna nel termine previsto, il cliente invita il venditore a consegnare il bene entro un termine supplementare che sia appropriato alle circostanze. In caso di mancata consegna nel termine supplementare il cliente può sciogliere il contratto e ottenere il risarcimento del danno.
Il cliente non deve richiedere il termine supplementare se:
il rispetto del termine originario previsto per la consegna era essenziale, considerate le circostanze in cui è stato concluso il contratto;
il cliente, prima di concludere il contratto, aveva informato il venditore che la consegna entro una determinata data era per lui essenziale.
Controversie
In caso di controversie tra il venditore ed il cliente che sia qualificabile come “consumatore”, la competenza territoriale inderogabile è del giudice del luogo di residenza o di domicilio del consumatore, se questo luogo è in Italia. Eventuali clausole difformi sono da ritenere inefficaci.
La privacy
L’argomento, davvero molto ampio, richiederebbe una trattazione a parte. Certamente due sono le cose a che non devono mancare all’interno del sito internet, vediamo quali sono anche se verranno trattati in modo molto veloce e semplicistico. Sul sito non deve di certo mancarare l’informativa estesa ed il banner, ben visibile, relativo ai cookies.
Se si ha la necessita, e diciamo che c’è, di fare marketing online (invio newsletter, retargeting ecc.) va rispettato quanto previsto dal GDPR e dai provvedimenti del Garante della Privacy.
Da quanto scritto, un po’ lungo lo so, è evidente come sia importante nella realizzazione di un e-commerce non solo il “tecnicismo” ma anche la conoscenza delle leggi che solo un vero professionista può dare. GLi obblighi informativi possono evitare problemi sia al venditore che al cliente, conoscerli quindi diventa indispensabile.
Devi realizzare il tuo negozio on-line? Contattaci per una consulenza gratuita.
In quest’ultimo periodo si è sentito tanto parlare di e-commerce. Questo “particolare” sito internet ha consentito di mandare un po’ avanti l’economia di piccole e grosse aziende nel periodo di lockdown.
Purtroppo, come spesso accade, sull’apertura – gestione – mantenimento per questo shop on-line tra tante informazioni utili sono circolate anche notizie poco veritiere. Abbiamo perciò deciso, nel nostro stile, di creare una piccola guida sulla normativa da seguire per l’apertuna di un negozio on-line.
Serve un’autorizzazione per aprire un e-commerce?
No, allo stato attuale non serve alcuna autorizzazione specifica. Come sempre però ci sono delle eccezioni per la vendita di alcune categorie di beni. Infatti per vendere on-line prodotti alimentari, bevande alcoliche, farmaci è necessario, a priori, una specifica autorizzazione.
Vuoi aprire un e-commerce? Quali sono i passi da seguire?
Se parti da zero, ovvero non hai un negozio fisico o altro…
procurati prima di iniziare l’iter:
un indirizzo PEC (Posta Elettronica Certificata);
la firma digitale. La firma digitale ha lo stesso valore legale della firma autografa e servirà per i vari adempimenti presso la Camera di Commercio.
le credenziali per Telemaco, strumento telematico per inviare al Registro delle imprese la pratica di Comunicazione Unica.
Se decidi di affidarti ad un professionista, quale ad esempio un commercialista, penserà lui a procurare quanto detto sopra.
Invia la Comunicazione Unica al Registro delle Imprese della Camera di Commercio a cui fai riferimento. Una volta inviata la pratica, il registro delle imprese spedisce automaticamente all’indirizzo PEC dell’impresa la ricevuta di protocollo e di comunicazione unica, valida per l’avvio dell’impresa.
La Camera di Commercio inoltra automaticamente la comunicazione all’Agenzia delle Entrate, all’INPS e all’INAIL.
Ma cos’è la Comunicazione Unica?
Con la Comunicazione Unica è possibile in un unico contesto:
richiedere il codice fiscale e la partita iva;
aprire la posizione assicurativa presso l’INAIL;
chiedere l’iscrizione:
all’INPS dei dipendenti o dei lavoratori autonomi;
al registro delle imprese tenuto dalle Camere di Commercio;
al VIES (VAT Information Exchange System) se vuoi vendere anche all’estero;
presentare l’eventuale SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) per il SUAP (Sportello Unico delle Attività Produttive). Precisiamo: volendo puoi presentare la SCIA direttamente al SUAP e non tramite la Comunicazione Unica
Se possiedi già un negozio fisico allora devi…
aggiungere alla partita iva il codice di attività relativo al commercio online (codice Ateco), come attività secondaria, tramite l’Agenzia delle Entrate. Non dimenticare di comunicare alla Camera di Commercio lo svolgimento della ulteriore attività di vendita al dettaglio per corrispondenza. Devi presentare la SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) al SUAP (Sportello Unico delle Attività Produttive).
Anche in questo caso viene in aiuto la Comunicazione Unica che ti consente di inviare il tutto al Registro delle Imprese della Camera di Commercio.
Per aprire un e-commerce dobbiamo conoscere la SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività)
Che cosa è?
È un atto con il quale tu, titolare del negozio on-line, segnali alla pubblica amministrazione l’avvio della tua attività commerciale e ti assumi la responsabilità di dichiarare che l’attività risponde ai requisiti previsti dalla legge.
Cosa contiene?
Come contenuto del documento vanno indicate, tra le altre cose, di possedere alcuni requisiti morali e professionali. Tra le cose da dichiarare va indicato di non essere stato dichiarato fallito o non aver riportato condanne per alcuni tipi di reato; il settore merceologico (alimentare o non alimentare); l’indirizzo del sito web.
A chi va presentata la SCIA?
La SCIA va presentata al SUAP (Sportello Unico Attività Produttive) del Comune di residenza, se il titolare dell’e-commerce è una persona fisica o in cui l’esercente ha sede legale, se il titolare dell’e- commerce è una persona giuridica.
Come va presentata?
La SCIA può essere presentata al SUAP tramite la Camera di Commercio territorialmente competente, come allegato alla Comunicazione Unica. Per accedere al SUAP del tuo Comune vai www.impresainungiorno.gov.it
Ho inviato la Scia e ora cosa devo fare?
Complimenti, ora il SUAP ti rilascia una ricevuta che ti consente di iniziare immediatamente l’attività di e-commerce.
Ci sono controlli? CERTO!
Alla presentazione della SCIA la Pubblica Amministrazione inizia l’iter per verificare se quanto dichiarato sia conforme alla legge. Nel caso in cui fosse accertata la mancanza di qualche requisito, la Pubblica Amministrazione, entro 60 giorni dal ricevimento della segnalazione, può:
vietare che l’attività di e-commerce prosegua;
invitarti a conformarti alla legge, se ciò sia possibile: in questo caso la PA indica le misure necessarie che devi adottare entro un termine non inferiore a 30 giorni e ti invita a sospendere nel frattempo l’attività. Se non adotti queste misure nel termine indicato, l’attività di e-commerce è vietata.
Aprire un e-commerce non è soltato crearlo dal punto di vista tecnico, è necessario conoscere bene la normativa al fine di evitare problemi. Farsi affiancare da un buon professionista è la soluzione ideale per non avere problemi in corso d’opera. In un prossimo articolo continueremo a parlare di e-commerce e degli obblighi informativi che devono essere presenti.
Se hai qualche dubbio o vuoi aprire il tuo shop on-line siamo a disposizione per indicarti la strada migliore per la sua realizzazione.
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Dati Personali che vengono trattati: Dati di utilizzo; Strumento di Tracciamento.